
Il capitolo 26 degli atti degli Apostoli è interamente occupato dall’Apologia di Paolo, L’apologia è quando l’accusato difende se stesso.
E’ il terzo eil più lungo ed elaborato discorso di difesa tenuto da Paolo:
dopo un esordio cortese ma non viscido, Paolo proclama la piena conformità della sua fede cristiana con la credenza farisaica della risurrezione, descrive poi le circostanze della sua conversione e termina con un sommario della sua predicazione, che presenta il cristianesimo come il compimento delle scritture
E’ un momento importante e insieme commovente. E’ la terza volta che gli Atti attraverso Luca ci raccontano le vicende di Paolo e del suo incontro con il Risorto.
E’ l’ultimo discorso di Paolo nella sua terra, tra i suoi, possiamo dire a ragione che è anche l’ultimo tentativo di convertire i suoi ascoltatori. Ma possiamo chiamarlo anche il discorso fondativo della Chiesa nascente.
C’è un tentativo nel parlare al re di aprire gli occhi a tutto il popolo di Israele. Tentativo fallito. Ma a noi tutto ciò non ci lascia indifferenti.
Perché Paolo oggi parla a noi, siamo noi quei personaggi che ascoltano la sua testimonianza che ci scalda il cuore perché anche per noi c’è stato un momento nella vita, un lampo magari fatto di piccole luci intermittenti, che ci hanno fatto aderire alla speranza cristiana di un Dio che si dona per amore, e ci ha fatto deviare da un percorso di vita gretto e superficiale, nel quale non ci sentivamo a nostro agio.
Paolo fa la sua difesa, ma non è una difesa fatta di sotterfugi di calcoli strategici, di mezze menzogne e di mezze verità, per confondere più che far emergere la verità, come succede vin tanti processi ai quali assistiamo frequentemente.
La prima parte del discorso di Paolo inizia la sua difesa con un accusa a se stesso, ricorda i primi passi del suo cammino di fede. ,” come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione”
Ripensa al suo zelo nel dare la caccia ai cristiani certo di fare la volontà di Dio. In questo porta come testimoni proprio i suoi accusatori. Credeva con quel suo modo di agire cosi violento di difendere e fare la volontà del Dio Israele. La sua missione era quella di cacciare, scovare e imprigionare tutti i discepoli di Gesù. Ricorda velatamente anche la morte di Stefano “quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. “Il suo zelo arrivava perfino fuori dalla terra di Israele.
Ed è proprio andando verso Damasco che succede qualcosa di straordinario, un luce lo abbaglia e lo rende cieco, e nella sofferenza, nel dolore che sente risuonare la voce di Gesù “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?” Incrociando gli sguardi impauriti e innocenti del perseguitati, è come se un dubbio atroce lo avesse fatto precipitare nel buio più totale. “cosa sto facendo? Sto sbagliando tutto ?”
E quella voce che entra nel cuore come una lama, “sto perseguitando il mio Dio”. Quella cecità che ti costringe a rientrare in te stesso perché è l’unico modo di vederti dentro, vedere cosa c’è veramente nel cuore. Perché quando tutto è buoi intorno a te non puoi che entrare dentro di te a cercare la luce.
Paolo spiega ai suoi ascoltatori come da una cecità dottrinale è stato reso ancora più cieco dall’amore di quel Dio che perseguitava, ma per riacquistarlo alla luce piena, per far si che la sua vita prendesse la giusta direzione. Una direzione che farà diventare Paolo da persecutore a perseguitato, non dovrà usare più la spada, ma dovrà usare le armi dell’amore.
Non più violenza ma accoglienza. E la cosa più straordinaria è che con la vista riacquistata capirà che quel Gesù crocifisso e risorto non è spuntato dal nulla, dalle fantasie di un pazzo che ha battuto la testa cadendo da cavallo, ma tutto scaturisce dalla legge di Mosè , dai Profeti. Quel Gesù è proprio quel Messia bramato e atteso da tutto il popolo , da tutte le tribù di Israele, ma che è anche speranza per tutti i popoli.
E questo Paolo lo dice apertamente al Re e a tutti i presenti. Ricordando che lui si trova li imprigionato proprio a motivo della risurrezione alla quale credono anche i farisei e per aver aperto le porte della fede in Gesù ai pagani, trasformando una religione isolata e ferma al territorio di Israele in un movimento che spazia oltre i confini geografici e della storia.
Un cammino di Fede in continua evoluzione perché è una Fede che non ha come riferimento un opera umana come il Tempio o del Libro, ma ha come riferimento Gesù il risorto che vive e cammina con noi. Che ci ha donato lo Spirto che vive nel nostro cuore e che ci ha fatto conoscere il vero volto del Padre, un volto misericordioso e innamorato dell’umanità, che ama e Perdona. E queste sono armi letali per il male.
Nel finale del capitolo abbiamo due interventi delle due massime autortà presenti. Il Procuratore Festo, completamente spiazzato, da del pazzo a Paolo, escludendosi da ogni possibilità di redenzione.
Già nell’incontro precedente avevamo accennato al fatto che Festo non riusciva a capire i capi d’accusa formulati dai capi del Sinedrio contro Paolo.
Altra reazione è quella del Re Agrippa, che essendo ebreo era a conoscenza sia della Legge e dei Profeti che delle vicende di Gesù, infatti rivolgendosi a Paolo gli dice
“Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!” Già, quel poco che tiene lontano dal Regno di Dio il giovane ricco che aveva molti beni, quel poco che tiene lontano il fariseo al quale Gesù dice “non sei lontano dal Regno di Dio” nel commento al primo comandamento. (Mc 12, 28-34).
Quel poco è solo un passo ma è fondamentale perché la strada della vita si snoda attraverso delle scelte e basta un “poco” per scegliere quella giusta o quella sbagliata. Quante volte nella nostra vita ci siamo pentiti perché o per paura o per avventatezza ci siamo accordi di aver preso la strada sbagliata.
Ma i potenti fanno la loro scelta, non sanno fare altro. Paolo è innocente dicono poteva essere liberato. Ma evitiamo le rogne, si è appellato a Cesare mandiamolo a Cesare. Alla fine credendo di fare la loro potente volontà, inconsapevoli fanno la volontà di Dio. Amen
Fiorello Ciaramicoli, diacono