
E’ ardua l’impresa di Paolo, deve convincere i Galati che il suo operato viene da Dio, che nessun uomo lo ha mandato, che nessun uomo lo ha istruito, ma che tutto proviene da Dio attraverso Gesù Cristo suo figlio. C’è bisogno di Fede e non di calcoli razionali per credere, e lui che è mandato a svelare la verità del Figlio di Dio deve mettere in campo tutta la sua esperienza di uomo toccato dal Padre, senza nascondere niente anzi confessando anche il male che ha fatto.
Paolo infatti non esita a ricordare ai Galati, ciò che era prima del suo incontro con il Cristo a Damasco.
Di quando fieramente si opponeva con violenza alla nuova dottrina dei seguaci di Gesù.
Racconta quasi con fierezza quanto era zelante in questo, superava i suoi fratelli Giudei.
Il suo zelo e lo zelo con cui difende la sua immagine di Dio e la tradizione dei suoi padri ci ricorda la rivolta dei Maccabei, Mattatia e i suoi figli, contro i Re Antioco Epifane che voleva imporre la cultura greca ai Giudei, e alla loro violenta reazione. Quella era la lotta del Giudaismo contro l’Ellenismo.
E’ bello vedere come Paolo nella sua testimonianza non tralascia le vicende negative della sua vita, per far risaltare la misericordia e la bontà di Dio, ma anche la capacità di tirar fuori dalle fragilità umane, che a volte si esprimono anche in modo violento, cose meravigliose.
Le strade di Dio sono infinite e meravigliose, c’è in ognuno di noi un seme che il Signore ha messo nei nostri cuori ed è quel seme che abbiamo da sempre che può germogliare o restare immobile e infruttuoso, dipende da noi se vogliamo coltivarlo, dipende dai nostri si e dai nostri no.
Quanti esempi abbiamo di persone che facevano una vita disordinata, cene, balli, discoteche sesso, droghe, alcol, notti e giorni passati alla ricerca di un senso, fino a quando sulla via Dio Padre gli ha fatto trovare la loro “damasco” cioè il volto di Cristo, magari attraverso persone che hanno teso una mano con amore, senza giudizi e senza pretese, e sono cambiate.
Mi ricorda quando ero animatore dei ragazzi ad un campo scuola venne a animare il campo un fraticello, fra Lorenzo, che qualche anno prima girava per Pesaro con una cresta di capelli colorata, sballato da cima ha fondo, poi l’incontro con Cristo ed eccolo frate francescano. Mi viene in mente un salmo che mi piace molto, è il salmo 17 particolarmente i versetti da 29-30 che dice così: Ti amo Signore mia forza, Signore mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza:
Tu Signore sei luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre.
Con te mi lancerò contro le schiere, con il mio Dio scavalcherò le mura.
Il testimone è umile perché sa che non è suo il merito del cambiamento, ma è grato a Dio per i doni che ha ricevuto e non può che riversarli sui fratelli. E’ la missione, alla quale ognuno di noi deve tendere, non ricercando cose straordinarie, ma vivendo la quotidianità.
Dice Papa Francesco, “, Come sono imperscrutabili le strade del Signore! Lo tocchiamo con mano ogni giorno, ma soprattutto se ripensiamo ai momenti in cui il Signore ci ha chiamato. Non dobbiamo mai dimenticare il tempo e il modo in cui Dio è entrato nella nostra vita: tenere fisso nel cuore e nella mente quell’incontro con la grazia, quando Dio ha cambiato la nostra esistenza. Quante volte, davanti alle grandi opere del Signore, viene spontanea la domanda: ma com’è possibile che Dio si serva di un peccatore, di una persona fragile e debole, per realizzare la sua volontà? Eppure, non c’è nulla di casuale, perché tutto è stato preparato nel disegno di Dio. Lui tesse la nostra storia, la storia di ognuno di noi: Lui tesse la nostra storia e, se noi corrispondiamo con fiducia al suo piano di salvezza, ce ne accorgiamo. La chiamata comporta sempre una missione a cui siamo destinati; per questo ci viene chiesto di prepararci con serietà, sapendo che è Dio stesso che ci invia, Dio stesso che ci sostiene con la sua grazia. Fratelli e sorelle, lasciamoci condurre da questa consapevolezza: il primato della grazia trasforma l’esistenza e la rende degna di essere posta al servizio del Vangelo. Il primato della grazia copre tutti i peccati, cambia i cuori, cambia la vita, ci fa vedere strade nuove. Non dimentichiamo questo!
Paolo nel raccontare le sue vicende della sua vita prima di Damasco, usa parole molto forti, come, accanimento, devastazione, persecuzione. Racconta come era radicato nel difendere la tradizione dei padri, per dirci che era impossibile per lui accettare e aderire a Cristo. Solo un intervento di Dio poteva trasformarlo in quello che oggi è. Come potrebbe un persecutore pretendere di di essersi meritato una vocazione di Apostolo? Paolo riconosce di essere stato beneficiato dall’amore generoso di Dio, che lo ha tenuto a parte per la grande missione.
E nel descrivere l’intervento di Dio su di lui attinge ai Profeti Isaia e Geremia.
Isaia 49,1
Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome.
Geremia 1,5
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni».
Invece questo canto in Isaia 49,6 è uno dei passi che Paolo fa suo per missione speciale alla quale è stato chiamato.
mi disse: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti di Israele.
Ma io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
Luca lo mette sulla bocca di Paolo anche negli atti degli Apostoli al Cap.13, 46-47
46 Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. 47 Così infatti ci ha ordinato il Signore:
Io ti ho posto come luce per le genti,
perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra».
Paolo, continua il racconto della sua attività missionaria per mostrare la piena autonomia della sua autorità di apostolo. Autonomia non vuol dire separazione o isolamento, ma suppone un confronto aperto come quello che è avvenuto con Pietro a Gerrusalemme,
Pietro è il fondamento della comunione con i fratelli, è una visita di rispetto al capo della Chiesa, paolo confrontò con Pietro il suo vangelo e la sua scelta nei confronti dei pagani: rimane intatta la sua autonomia di apostolo, anche se fece tesoro delle informazioni storiche ricevute da Pietro. <rimane intatto quello che sta a cuore a Paolo, che è di dimostrare che il contenuto salvifico del vangelo, cioè la salvezza di tutti gli uomini per mezzo di Gesù Cristo non deriva dagli uomini. Creato questo legame con la chiesa madre Paolo si dirige verso le regioni della Siria e della Cilicia è la zona di Antiochia e di Tarso, luogo natale di Paolo.
E’ il suo primo viaggio apostolico che durò circa quattordici anni. E’ uno scorcio di quanto narrato in atti 13-14. Paolo chiude questo primo capitolo citando le Chiese della Giudea, che non lo conoscevano che per la sua fama di persecutore e che ora avevano sentito dire della sua straordinaria trasformazione che aveva fatto di un persecutore della Chiesa, un missionario della fede cristiana. Bellissima questa affermazione “evangelizza la Fede”. E ringraziavano Dio, quindi anche loro riconoscevano in tutto questo l’intervento di Dio.
Questa conclusione di Paolo che presenta la testimonianza altrui in proprio favore è un altro punto a favore della sua difesa.
A conclusione di questo capitolo possiamo precisare due cose:
1. ORIGINE DIVINA DELL’APOSTOLATO DI PAOLO.
Dio è intervenuto per fare di un persecutore un apostolo della fede in Cristo, l’intervento è consistito nella rivelazione di Gesù Cristo Figlio di Dio.
2. RIVELAZIONE FATTA PER ESSERE COMUNICATA ALLE NAZIONI PAGANE.
Due aspetti di fondamentale importanza della discussione di Paolo con i Galati, ma anche basilari per la fede di tutta la Chiesa fino ai nostri giorni. La dottrina dell’apostolo Paolo fa parte della rivelazione divina.