IV domenica di Quaresima.

Facciamo festa, perché questo

mio figlio è tornato in vita

Gs 5,9.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32.

Le letture della domenica detta “laetare”, termine che proviene dalla prima parola latina dell’antifona all’ingresso “rallegrare, gioire” invitano a rallegrarci per aver fatto l’esperienza di misericordia e di perdono di Dio, leggiamo dall’antifona: “rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate radunatevi. Sfavillate di gioia con essa, voi che eravate nel lutto. Così gioirete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni”.
Rallegrarsi con il popolo di Dio che ha celebrato la prima Pasqua non appena entrato nella terra promessa (prima Lettura), rallegrarsi perché Dio, ricco di misericordia ci ha riconciliati con Se mediante Cristo, facendoci nuove creature (seconda Lettura) e, infine, rallegrarsi perché il figlio che era morto è ritornato alla vita, ricevendo l’abbraccio misericordioso del Padre (Vangelo).

Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto

Dio comunica che egli stesso ha messo fine all’umiliante situazione di schiavitù del suo popolo, allontanandolo dall’infamia dell’Egitto, ovvero dal peccato, facendogli attraversare il Giordano per entrare nella terra promessa, a Galgala, dove gli israeliti si fermano per celebrare la prima Pasqua, dopo il rientro dalla terra della schiavitù. Il popolo di Dio deve celebrare questa vittoria sull’Egitto, sul peccato, sul mondo del male, un mondo che, per lunghissimi anni, ha perseguitato, aggravato, schiacciato la sua dignità di figlio di Dio, l’ha oppresso togliendogli la serenità e la pace… un mondo infame.

Con la celebrazione di quella Pasqua, con il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla santità, il popolo riacquista la sua dignità di figlio o popolo di Dio. Paolo direbbe che diventa nuova creatura in seguito alla riconciliazione con Dio. Dopo la Pasqua dunque è possibile rallegrarsi, fare festa, si legge che essi mangiarono i prodotti della terra, gli azzimi e frumento abbrustolito.

Quando usciamo dall’infamia dell’Egitto cioè dal peccato si può sperimentare la gioia che si vive nella terra promessa, quando si rientra nella casa del padre…e si può ricevere il suo abbraccio misericordioso. Uscendo dal peccato, possiamo ascoltare e vivere la gioia del Padre che invita a tutti a festeggiare: “presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio è tornato in vita

La storia narrata da Gesù, la celebre parabola del figlio prodigo, è ben nota e meditata e nel corso della storia ha ricevuto tanti titoli: “la parabola del figlio perso e ritrovato”, “l’abbraccio misericordioso”, “un padre che fu madre”, “il vangelo nel Vangelo”, ecc.
La parabola è narrata solo nel vangelo di Luca e Gesù la racconta non per i peccatori, ma piuttosto per i farisei e gli scribi affinché si possano convertire. Essi criticano Gesù per il fatto che accoglie e mangia con i peccatori, criticano inoltre il Suo atteggiamento di misericordia e di accoglienza. San Luca scrive: “si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’”. Gesù raccontò quindi loro questa parabola. Soffermiamoci sull’atteggiamento del padre nel riguardo non solo del figlio più giovane, ma anche del più grande.
Tre i principali personaggi: il padre e i suoi due figli. Il più giovane, liberamente chiede a suo padre la parte del patrimonio che gli spetta in eredità, come se il padre fosse morto e decide di andarsene lontano dove sperpera le sue sostanze, vivendo in modo dissoluto, perdendo perciò la sua dignità di figlio, vive la situazione degl’infami dall’Egitto cioè del peccato. Infatti egli è costretto a pascolare i porci e durante la carestia, non può nutrirsi neppure del cibo che viene dato ai porci. Perde la sua dignità di figlio, ma che richiede al suo rientro: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Lui che aveva ucciso, nella sua coscienza, il padre, nella sofferenza si ricorda del padre e gli chiede semplicemente di non essere da lui considerato figlio ma “uno dei tuoi garzoni”. È la cosa più triste: non aver più la dignità di figlio.

Desta sommo stupore l’atteggiamento del padre davanti al figlio che ritorna, considerandosi garzone: anche da lontano, il padre lo riconosce come suo figlio, lo vede e commosso gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. Un’ accoglienza premurosa, calorosa ed affettuosa. Il discorso premeditato del figlio, viene interrotto e contraddetto dal padre: “non sono degno di essere chiamato tuo figlio” il padre lo copre con i segni della dignità filiale: “presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa”. Il motivo di tanta premura è evidente: la conversione del figlio, cioè il ritorno alla vita nella casa del padre: “mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te”. La misericordia del padre, il suo abbraccio dà dignità al figlio, è una misericordia piena di amore perché il figlio è uscito dall’infamia dell’Egitto.

È una misericordia inclusiva che non si rivolge solo al figlio perso, ma anche davanti al figlio che era perso pur essendo rimasto nella casa del padre, pur non considerandosi figlio ma servo del padre. Infatti, il figlio rimasto, avendo visto l’atteggiamento e la gioia del padre afferma: “ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Si considera servo e suo fratello non è più suo fratello ma “tuo figlio”. Il Padre invita il figlio maggiore a far festa e a rallegrarsi perché il fratello è ritornato in vita. Il padre comunica al figlio maggiore “lo slancio della propria misericordia, della propria generosità” … è un padre che fu madre; un padre con l’atteggiamento di una madre il cui amore “non si divide ma si espande, si moltiplica e contagia”, come ha scritto don Farinella. “Il vero gigante che la parabola mette in luce è il padre, che ama a perdere, senza aspettarsi in cambio nulla dai due figli, uno peggiore dell’altro. Proprio per questo, il padre è sempre padre e, pur di salvare i figli ribelli, non esita a farsi madre, madre che genera sempre… senza fine”.

Il discepolo missionario vive la certezza dell’amore misericordioso di Dio Padre e rientra a casa con questa certezza, non si dispera mai. Infatti, afferma Papa Francesco “questa parola di Gesù ci incoraggia a non disperare mai. Penso alle mamme e ai papà in apprensione quando vedono i figli allontanarsi imboccando strade pericolose. Penso ai parroci e catechisti che a volte si domandano se il loro lavoro è stato vano. Ma penso anche a chi si trova in carcere, e gli sembra che la sua vita sia finita; a quanti hanno compiuto scelte sbagliate e non riescono a guardare al futuro; a tutti coloro che hanno fame di misericordia e di perdono e credono di non meritarlo… In qualunque situazione della vita, non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, essere figlio di un Padre che mi ama e attende il mio ritorno. Anche nella situazione più brutta della vita, Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta”.

Padre Osorio

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