Oltre ogni presunzione

Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14.

Il Vangelo della domenica scorsa ci presentava una parabola direttamente collegata con la preghiera (Lc. 18,1-8). L’Evangelista Luca introduceva il brano risaltando proprio questo fatto. L’invito di Gesù era quello di pregare sempre senza stancarsi mai, sull’esempio della tenacità della vedova del racconto. Oggi, invece, l’aneddoto che Gesù presenta, Luca lo introduce dicendo che è diretto a coloro che hanno la ‘presunzione di essere giusti’. Il contenuto della parabola è comunque collocato in un ambiente di preghiera. Ci sono due personaggi, socialmente, ma anche religiosamente distinti: un fariseo e un esattore delle tasse (pubblicano). 

I farisei sono, tra altri, un movimento religioso-spirituale molto attivo ai tempi di Gesù. Sono persone che hanno fatto delle scelte di fede, anche con delle implicazioni sociali, riguardo alla conoscenza della Legge, tra loro ci sono anche Dottori della Legge, al rispetto della stessa, nella fedeltà alle tradizioni codificate in centinaia di norme e precetti da compiere. Fra di loro ci sono anche maestri di spicco nell’ambiente religioso dei tempi di Gesù. Come persone versate nelle cose religiose, essi questionano frequentemente Gesù e lo antagonizzano anche nella predicazione.

I pubblicani, invece, sono peccatori pubblici, ossia, per la loro attività considerati in contraddizione con le norme e precetti della legge. Non vivono quindi in fedeltà e giustizia davanti a Dio e, ovviamente, molto di meno agli occhi dei suoi connazionali. Tra questi pubblicani, ‘santamente’ odiati, si trovavano gli esattori delle tasse (telonai). La motivazione dell’odio verso di loro è, da una parte, perché collaborano con i romani invasori e oppressori del popolo eletto, d’altra parte, perché toccano e scambiano la moneta romana, blasfema per portare impressa la faccia dell’Imperatore. Quindi traditori e anche idolatri. Con loro Gesù si incontra varie volte portando loro perdono e riconciliazione. Questo atteggiamento misericordioso di Gesù verso i peccatori è anche causa di accusazioni verso di Lui che, dicono i farisei e gli scribi, ‘accoglie i peccatori e mangia con loro’ (Lc 15,2).

La parabola che Gesù racconta mette in luce questi due personaggi, individualmente e nella loro dimensione tipologica di giusti e peccatori. Essi, nonostante si trovino nello stesso luogo e per fare la stessa attività, lo fanno con atteggiamenti completamente opposti. Vediamolo in dettaglio. 

“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé” (Lc 18,11). Luca usa due espressioni per descrivere l’atteggiamento di preghiera del fariseo: ‘stando in piedi’ e ‘tra sé’ denotando orgoglio e presunzione. ‘Stare in piedi’ davanti a Dio, guardandolo in ‘faccia’, viene nella Sacra Scrittura presentato come un previlegio concesso dal Signore all’uomo giusto di cui Mosè è il prototipo (Sir 45,5). Quindi non ci sarebbe stranezza nel fatto che questo fariseo si presenti così nel tempio per pregare. Infatti, la stranezza viene subito segnalata nell’espressione seguente e che troviamo tradotto come ‘tra sé’. L’originale greco può davvero essere tradotto con il senso di pregare senza parole, ma si può anche tradurre come ‘verso sé stesso’. Ossia, il destinatario della sua preghiera non è il Signore, ma un atteggiamento egocentrico, ‘autoreferenziale’ direbbe Papa Francesco, che appare poi chiaro dal suo rendere grazie di non essere ‘come gli altri uomini’. Lui si colloca come giudice, posizione che usurpa a Dio, non solo riguardo alla bontà dei suoi atti, ma anche riguardo alla malvagità di tutti gli altri. Lui fa tutto bene, gli altri tutto sbagliato. Peggio ancora, il giudizio che lui fa non è solo generico, ma concreto e riguardante a colui che si trova con lui nel tempio, il prossimo. La sua preghiera, dunque, diventa sopruso e motivo di esclusione. Paolo invece, portato a giudizio dagli uomini, come ascoltiamo nella seconda lettura di quest’oggi e dirigendosi a Timoteo, afferma convinto di ‘aver combattuto la buona battaglia’, ma non lo fa escludendo gli altri. Anzi, è sicuro che il Signore gli darà la ‘corona di giustizia’, ma il suo desiderio e sforzo è che il Signore la conceda anche a tanti altri. Poi, all’abbandono vissuto davanti al tribunale dove nessuno lo ha assistito, lui risponde con il desiderio che non sia loro tenuto in conto. Dunque, una preghiera di ringraziamento e di inclusione.

L’esattore delle tasse e peccatore pubblico, da parte sua, sa bene della sua condizione e la esprime nel suo atteggiamento e posizione nel pregare. Non sta in piedi e non osa nemmeno alzare gli occhi, neanche le mani. Ha la testa bassa e con le mani batte sul petto riconoscendosi peccatore. Non si usa della preghiera per ‘picchiare’ gli altri, ma per ‘picchiare’ sé stesso. Il contenuto della sua preghiera è molto semplice, ma parte dal suo cuore e dal riconoscere la sua condizione che lui avverte per onestà propria e poi perché tanti altri glielo avranno fatto capire e pesare con parole e discriminazione. Lui si dirige a Dio per chiedere pietà. Sa di averne bisogno. I suoi occhi e le sue mani sono rivolti su sé steso, non per esaltarsi, ma in profonda umiltà. Non è autoreferenziale, né egocentrico, tutto colloca nelle mani di Dio chiedendo misericordia: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’ (Lc 18,13). Queste parole, così oneste e umili, sono il centro di quella che la tradizione orientale e russa chiama “la preghiera del cuore” o ‘la preghiera di Gesù’ da ripetere incessantemente e coniata nelle parole “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore!”, o più semplicemente “Signore Gesù, abbi pietà di me!”.

Ma nella parabola del Vangelo abbiamo un terzo personaggio, che si trova nascosto e che “vede nel segreto”. Non si lascia corrompere dal ringraziamento del fariseo, ma guarda misericordiosamente l’umiltà dell’esattore delle tasse. Lui è il vero giudice perché conosce i cuori e non si lascia ingannare dalle apparenze (Is 11,3). Lui è quel giudice di cui dice la prima lettura di oggi “per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso.” (Sir 35,15-16). Proprio lui, il Signore, lo rivela Gesù, fa diventare giusto il peccatore, che ‘scende a casa giustificato’. Ecco la grande differenza: il primo si giustifica, il secondo viene giustificato.

Il discepolo missionario, che segue Gesù sulla via della missione, deve essere persona di preghiera, di intimità con il suo Maestro e compagno di viaggio. Nella sua preghiera deve riconoscersi pieno di gratitudine per essere figlio di Dio e anche previlegiato per essere chiamato ad essere missionario, di poter “condividere la stessa missione del Signore” (B. Allamano). Ma deve anche essere pienamente cosciente che quello che è, lo è grazia alla bontà e misericordia del Signore. Deve evitare la ‘tentazione igienica’ farisaica di escludere gli altri per sentirsi a posto. In ogni momento e occasione, nella preghiera e nell’attività, chi cammina con il Signore è inclusivo verso tutti. Nella sua mente deve esserci distinzione, poiché il nostro mondo e l’umanità sono ricchi di diversità, ma mai ci può essere discriminazione o condanna.

Questa domenica celebriamo anche la Giornata Missionaria Mondiale. Chiediamo al Signore con cuore sincero ed umile per tutti i missionari, per coloro che soffrono, per coloro che sono esclusi. perseguitati e discriminati. Al vero Giudice imploriamo giustizia e fraternità e il dono di potere camminare in ‘sinodalità’, con tutti i nostri fratelli e sorelle, in comunione con la creazione, come fedeli testimoni fino ai confini della terra, con la forza dello Spirito Santo. 

Padre Osorio

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