Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mt 26,14 –27,66.
La domenica delle Palme o della Passione, inaugura la settimana santa. Se, da una parte è caratterizzata dall’umiliazione del “Figlio di Dio” d’altra, non nasconde che siamo alla vigilia di una glorificazione senza tramonto di cui l’ingresso trionfale in Gerusalemme è un segno.
In tutti i testi biblici che leggiamo questa domenica, scopriamo ben delineati tutti gli elementi del mistero pasquale del “servo di Jahve”. Lui infatti non ha resistito agli oppressori, non è indietreggiato ma ha presentato il suo dorso alle percosse, le sue guance a coloro che gli strappavano la barba, la sua faccia alle ignominie e agli sputi (Is 50,4-7); Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (…); umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,6-11). Il Figlio di Dio per realizzare il piano di salvezza voluto dal Padre ha scelto la via dell’umiltà e dell’annientamento; per mezzo dell’ubbidienza assoluta e perfetta alla Volontà del Padre da Lui è stato esaltato.
La narrazione della Passione secondo Matteo intende mettere in evidenza il compimento delle Scritture, cioè presentare l’intero avvenimento della Passione come realizzazione delle profezie vetero-testamentarie. Il continuo riferimento alle Scritture non è soltanto per esplicitare la portata misteriosa del soffrire e morire di Gesù, ma anche e soprattutto per affermare che in Lui si realizza un piano e una volontà divina. La Passione non ha niente di accidentale, ogni minimo particolare era stato previsto e rientra nel disegno di Dio per la salvezza del mondo.
Poi Matteo sottolinea che, sebbene in Gesù si manifesta un piano e una volontà divina testimoniata dalla scrittura, Lui va incontro alla sua passione e morte con piena coscienza di causa e in totale libertà. Così dice ai discepoli: “uno di voi mi tradirà”; a Pietro: “mi rinnegherai tre volte”; “ecco, colui che mi tradisce si avvicina”.
In quest’ottica del compimento delle Scritture che si capisce il titolo con il quale è interpellato o riconosciuto Gesù: il “Figlio di Dio”. Matteo, nella sua narrazione della passione, lo ricorda con questo nome più volte (27,40.43.54). Colui che soffre e muore è l’innocente Figlio di Dio fatto uomo e lo fa non come conseguenza dei propri peccati, e non per una volontà vendicativa di Dio, ma per la sua libera e amante solidarietà con l’umanità peccatrice. Lui si è messo dalla nostra parte di peccatori prendendo su di sé il peso dell’ingiustizia, della violenza, della cattiveria umana (cf. Is 50,6) e questa solidarietà l’ha portato a morire inchiodato a una croce. Per questo motivo il suo martirio è pegno di guarigione per gli altri; grazie alla sua fedeltà Gesù sarà costituito da Dio e riconosciuto come Signore e Giudice universale.
La passione e morte di Gesù, che meditiamo in questi giorni, è il cammino d’amore e libertà di Gesù che è obbediente al Padre ma anche solidale con l’uomo peccatore. Come Gesù anche noi cristiani dobbiamo essere capaci di donazione e di sacrificio per amore degli altri. Siamo invitati a spogliarci per il bene dell’umanità intera rinunciando alle sicurezze a cui siamo affezionati.
Il Discepolo missionario, come l’ha ben detto Papa Francesco è colui che, sull’esempio del Centurione, si lascia stupire dall’amore del Figlio di Dio ed è capace di dire “davvero quest’uomo era Figlio di Dio”. Il Centurione “si è lasciato stupire dall’amore. In che modo aveva visto morire Gesù? Lo ha visto morire amando, e questo lo stupì. Soffriva, era stremato, ma continuava ad amare. Ecco lo stupore davanti a Dio, il quale sa riempire d’amore anche il morire. In questo amore gratuito e inaudito, il centurione, un pagano, trova Dio. Davvero era Figlio di Dio! La sua frase suggella la Passione. Tanti prima di lui nel Vangelo, ammirando Gesù per i suoi miracoli e prodigi, lo avevano riconosciuto Figlio di Dio, ma Cristo stesso li aveva messi a tacere, perché c’era il rischio di fermarsi all’ammirazione mondana, all’idea di un Dio da adorare e temere in quanto potente e terribile. Ora non più, sotto la croce non si può più fraintendere: Dio si è svelato e regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore. Lasciamo che questo stupore ci pervada, guardiamo il Crocifisso e diciamo anche noi: “Tu sei davvero il Figlio di Dio. Tu sei il mio Dio”.
Padre Osorio