Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente

XXI Domenica del tempo ordinario.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20.

Il Vangelo di questa domenica invita i discepoli ad aderire a Gesù e ad accoglierlo come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Da questa adesione nasce la Chiesa, la comunità dei discepoli di Gesù, riunita e organizzata attorno a Pietro. La missione della Chiesa è testimoniare la proposta di salvezza che Gesù è venuto a portare. Alla Chiesa e a Pietro è affidato il potere delle chiavi, cioè di interpretare le parole di Gesù, di adattare gli insegnamenti di Gesù alle sfide del mondo e di accogliere nella comunità tutti coloro che aderiscono alla proposta di salvezza che Gesù offre. La prima lettura mostra come si deve realizzare il potere delle “chiavi”. Chi detiene “le chiavi” non deve usare la sua autorità per realizzare interessi personali o per impedire ai fratelli di accedere ai beni eterni; ma deve esercitare il suo servizio come un padre che cerca il bene dei suoi figli, con attenzione, amore e giustizia. La seconda lettura è un invito a contemplare la ricchezza, la sapienza e la conoscenza di Dio che, in modo misterioso e a volte sconcertante, realizza i suoi piani per la salvezza dell’uomo.

Lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura

Il nostro oracolo si rivolge innanzitutto a Shebna, l’amministratore del palazzo”. Annuncia la sua espulsione dall’incarico e la sua sostituzione con Elyaqîm. Il motivo di questa reazione è perché  Scebna si era costruita “un sepolcro in alto e si è scavata un mausoleo nella roccia” (Is 22,16). Questo era un segno dell’orgoglio di Scebna oppure forse perché Scebna aveva usato il denaro del popolo o speso denaro per futilità in un momento difficile per tutti. Gli verranno tolte le insegne del suo potere (la tunica, la cintura, la chiave del palazzo), che verranno indossate da Elyaqîm. Elyaqîm riceverà quindi il “potere delle chiavi” del palazzo. Il simbolismo delle chiavi è particolarmente suggestivo: l’intendente di palazzo, tra le altre cose, deteneva le chiavi del palazzo reale, amministrava i beni del sovrano, stabiliva l’apertura e la chiusura delle porte e definiva quali visitatori dovevano essere portati al sovrano.

Il testo ci invita a riflettere sulla logica e sul significato del potere e suggerisce che il potere è un servizio alla comunità. Chi esercita il potere dovrebbe farlo con la sollecitudine, la cura, la gentilezza, la comprensione, la tolleranza, la misericordia e anche con la fermezza con cui un padre conduce e guida i suoi figli. In questa prospettiva, il servizio dell’autorità non è una questione di potere, ma di amore. Sarebbe impensabile pensare che qualcuno possa ricoprire con successo posizioni di responsabilità se non è guidato dall’amore. È questa stessa logica che i cristiani devono esigere, sia nell’esercizio del potere civile sia nell’esercizio del potere all’interno della comunità cristiana.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente

La gente, che non conosce Gesù da vicino, ha opinioni molto diverse: lo considera certamente come un personaggio importante. Alcuni dicono che è Giovanni Battista risorto. Altri considerano Gesù ancora più grande di Giovanni Battista, altri considerano come Elia, Geremia che chiama alla conversione. Attese che ci sono delle opinioni diverse, fondate su qualche constatazione nei confronti di Gesù, Egli chiede ai discepoli: “voi che dite che io sia”? è una domanda a coloro che lo conoscono, che sono stati con lui nel suo ministero. Simon Pietro ha un’ispirazione: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

L’opinione dei discepoli su Gesù va ben oltre l’opinione comune. Pietro, portavoce della comunità dei discepoli, riassume il sentimento della comunità del Regno nell’espressione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Questi due titoli riassumono la fede della Chiesa di Matteo e la catechesi che vi si fa su Gesù. Dire che Gesù è “il Cristo” (Messia) significa che è il liberatore che Israele aspettava, inviato da Dio per liberare il suo popolo e offrirgli la salvezza definitiva. Tuttavia, per i membri della comunità del Regno, Gesù non è solo il Messia: è anche il “Figlio di Dio”.

Per i discepoli, Gesù era molto più di “un uomo”. Era ed è “il Messia, il Figlio del Dio vivente”. Definirlo in questo modo significa riconoscere in Gesù il Dio che il Padre ha mandato nel mondo con una proposta di salvezza e di vita piena per tutti gli uomini. La sua proposta non è solo quella di un “uomo” buono, generoso e lungimirante, che possiamo ammirare da lontano e accettare o meno; è la proposta di Dio, pensata per fare di ogni uomo e donna una persona nuova, capace di camminare verso Dio e di raggiungere la vita piena della felicità senza fine. La differenza tra l'”uomo buono” e il “Messia, Figlio di Dio” è la differenza tra qualcuno che ammiriamo e che è come noi, e qualcuno che ci trasforma, ci rinnova e ci conduce verso la vita eterna e vera.

L’evangelista Matteo scrive che Gesù, rivolgendosi a Simon Pietro gli dice: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Da questa risposta, Gesù capisce che, grazie alla fede donata dal Padre, c’è un fondamento solido su cui può costruire la sua comunità, la sua Chiesa. Perciò dice a Simone: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

La consegna delle chiavi equivaleva alla nomina dell'”amministratore del palazzo” di cui si parla nella prima lettura: l’amministratore del palazzo”, tra le altre cose, amministrava i beni del sovrano, fissava gli orari di apertura e chiusura delle porte del palazzo e definiva quali visitatori dovevano essere portati al sovrano… D’altra parte, l’espressione “legare e sciogliere” designava, tra gli ebrei del tempo, il potere di interpretare la Legge con autorità, di dichiarare ciò che era o non era permesso, di escludere o reintrodurre qualcuno nella comunità del popolo di Dio. Così Gesù nomina Pietro “amministratore” e supervisore della Chiesa, con l’autorità di interpretare le parole di Gesù, di adattare gli insegnamenti di Gesù alle nuove esigenze e situazioni, di accogliere o meno nuovi membri nella comunità dei discepoli del Regno (nota: tutti sono chiamati da Dio a far parte della comunità del Regno; ma chi non è disposto ad aderire alle proposte di Gesù non può essere ammesso).

Il discepolo missionario è una piccola pietra con la quale Gesù costruisce la sua Chiesa. Poiché, come dice il Papa Francesco, “ognuno di noi è una piccola pietra, ma nelle mani di Gesù partecipa alla costruzione della Chiesa. E tutti noi, per quanto piccoli, siamo resi “pietre vive”, perché quando Gesù prende in mano la sua pietra, la fa sua, la rende viva, piena di vita, piena di vita dallo Spirito Santo, piena di vita dal suo amore, e così abbiamo un posto e una missione nella Chiesa: essa è comunità di vita, fatta di tantissime pietre, tutte diverse, che formano un unico edificio nel segno della fraternità e della comunione”.

Padre Osorio

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